Chitarrista, tecnico del suono e produttore
La musica richiede un’attitudine forte e solida, che si costruisce nel tempo
Lorenzo Venturino, classe 2000, è nato a Ceva e vive a Cairo Montenotte, in provincia di Savona. A nove anni circa ha iniziato a suonare la chitarra e poco dopo la batteria, col tempo ho aggiunto anche pianoforte e basso. Dopo il diploma al Liceo Scientifico ha iniziato presso il METS il triennio in Tecnico del suono, terminato nel 2022, e ora frequenta il biennio in Sound Engineering dove è seguito in particolare dai docenti Fabrizio Barale e Marti Jane Robertson. Parallelamente al percorso da fonico e tecnico audio vive il suo lato di musicista e compositore, spesso preponderante. Al momento lavora come polistrumentista in diverse formazioni live, e in studio come recording musician e mixing engineer.
Suonare è essenziale. Indipendentemente dallo strumento, quando suono mi sento completamente “vivo”. È una faccenda molto meditativa sotto questo punto di vista, mi aiuta a ricongiungermi con la mia sfera più emotiva e profonda e a ricalibrare la mia bussola. Inoltre, quando mi trovo in studio a registrare è estremamente gratificante sentire tra le mie mani la responsabilità di porre mattone dopo mattone le fondamenta di una casa che potenzialmente potrà ospitare chiunque.
Quale strumento suoni e come lo hai scelto?
Per fare il fonico non è necessario suonare uno strumento, in teoria. Tuttavia, i musicisti in questo campo sono da sempre avvantaggiati grazie all’esperienza musicale e artistica che portano con sé. Ho iniziato con la batteria a 9 anni circa, suonando una canzone di Adele sul divano con le bacchette cinesi. Da lì una reazione a catena mi ha portato alla chitarra, al basso e, circa a 16 anni, al mondo della produzione audio, dell’audio digitale, degli strumenti virtuali e via discorrendo.
Quando in quinta superiore è arrivato il momento di scegliere il percorso futuro ho capito che al METS avrei potuto sviluppare competenze trasversali su molti fronti del mondo musicale senza dover tralasciare (anzi, potenziare) l’aspetto musicale ed artistico.
Che ambiente hai trovato al Conservatorio Ghedini? Ha influito sulla tua crescita personale oltre che strumentale?
Senza alcun dubbio il percorso in questo Conservatorio mi ha aiutato a crescere molto anche nella sfera personale. Sono entrato che ero un ragazzino di provincia e qui, grazie all’ambiente caloroso e “familiare”, mi si sono aperti gli orizzonti. Ho avuto la fortuna di trovarmi in una classe meravigliosa, piccola ma unita e stimolante, casualità che ha contribuito a migliorare il tempo passato in questa scuola considerando anche il fatto oltre un terzo del triennio si è svolto in piena pandemia.
La sede Cantore, nella quale trascorro la maggior parte del mio tempo è stimolante, gli studenti di tutti i dipartimenti sono a stretto contatto c’è modo di conoscersi molto. Il vantaggio principale è stato poter usufruire degli ambienti METS anche fuori dall’orario delle lezioni, per studiare e sperimentare.
Qual è l’insegnamento più prezioso che hai appreso in Conservatorio?
La cosa più preziosa che mi hanno trasmetto tutti i docenti in questi anni è indubbiamente la necessità di avere coraggio. Grazie a loro ho capito che la musica richiede un’attitudine forte e solida, che si costruisce e si leviga pian piano con l’impegno e la dedizione. Anche il coraggio si acquisisce e solidifica con il tempo, stando a contatto con persone stimolanti e slanciate, come i compagni che ho avuto la fortuna di avere. Sono felice di essere riuscito col tempo a guadagnare il coraggio di seguire strade che mi spaventavano, cogliere occasioni senza lasciarsele scappare davanti e via discorrendo.
Raccontaci un episodio di vita accademica
Quest’anno per uno dei corsi del prof. Barale si è deciso di scrivere e produrre da zero due nuove versioni di due brani molto famosi. Il progetto si è svolto dividendoci in due gruppi da due studenti e assegnando un brano a ogni gruppo. Per rendere il lavoro più interessante si è deciso di filmare tutto il dietro le quinte di ogni sessione di produzione, al fine di realizzare una sorta di documentario “making of” al termine del progetto.
Come descriveresti la tua esperienza al Conservatorio Ghedini?
Stare al Ghedini è stimolante. In sede Cantore ho avuto modo di approcciarmi a cose estranee al mio percorso con grande facilità, grazie all’apertura e disposizione di buona parte dei docenti, che mi hanno permesso di seguire senza problemi interi corsi di altri dipartimenti (musica di insieme jazz, armonia jazz, composizione elettroacustica).
Il Dipartimento di Musica Elettronica è ben fornito di materiale tecnico, fondamentale per svolgere lezioni davvero utili.
Ci sono invece dei lati negativi?
La strumentazione e il materiale tecnico della sede Cantore sono conservati con poca cura, a mio parere, e non sono inventariato da molto tempo: a volte non si sa con certezza che strumentazione ci sia precisamente a disposizione. Inoltre, l’assenza di un sistema di aerazione adeguato rende complicato stare fisicamente in Conservatorio da aprile a ottobre, a causa della temperatura elevata e dell’umidità nell’edificio. Un altro mattoncino che renderebbe la scuola uno spazio molto più efficiente sarebbe realizzare un sistema di prenotazione online delle aule per lo studio individuale.