Manuela Ribodino

Manuela Ribodino

Pianista

Foto di Paolo Viglione

Fin da piccola ho interpretato il mio strumento come un fedele amico con il quale superare momenti tristi, momenti sereni e che aiuta a liberare la mente quando necessario

Manuela Ribodino, originaria di Barge e con radici transilvane ha 21 anni: prima dell’ammissione in Conservatorio ha studiato al liceo scientifico “G.B. Bodoni” di Saluzzo e ora si divide tra gli studi musicali a Cuneo e quelli legali a Torino, alla cui università è iscritta al terzo anno del corso di laurea magistrale in Giurisprudenza.

Oltre alla passione per legge e musica, quest’ultima messa in pratica anche seguendo i programmi ABRSM – Associated Board of Royal Schools of Music alla Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo, ho quella per l’arte e la letteratura, ambiti nei quali ho partecipato a numerosi concorsi

Perché hai scelto di aderire alla proposta di farti fotografare e di raccontare la tua esperienza?

Perché reputo la mia esperienza al Conservatorio di Cuneo altamente positiva e istruttiva. Credo che molte persone meritino di vivere altrettanti bei momenti e di poter crescere così come ho fatto io in un ambiente sereno, positivo e allo stesso tempo circondato dal giusto grado di competitività. Inizialmente l’ambiente mi intimoriva, l’idea di trovarmi al cospetto di molti studenti e docenti di talento creava in me un sentimento di inadeguatezza. Una volta iniziate le lezioni ho capito di essermi sbagliata. Ogni momento trascorso in Conservatorio è stato istruttivo, dal punto di vista dottrinale, umano, sociale e professionale. Come ulteriore aggiunta in merito alla mia esperienza al Ghedini sono stata nominata rappresentante degli studenti all’interno del Consiglio di Amministrazione. “Non quia difficilia sunt, non audemus, sed quia non audemus, sunt difficilia”.

Che ambiente hai trovato al Conservatorio Ghedini? Ha influito sulla tua crescita personale oltre che strumentale?

Trovo che qui ci sia un ambiente davvero sereno e posso dire di aver vissuto momenti di grande spensieratezza. Grandi professionisti (e futuri professionisti) si svelano fedeli amici o maestri “di vita”. La crescita personale e quella strumentale proseguono di pari passo: ogni lezione permette di socializzare, apprendere nuovi concetti e allo stesso tempo di sviluppare nuove competenze.

Qual è l’insegnamento più prezioso che hai appreso studiando?

Che la costanza premia. Lo studio della musica non si realizza dall’oggi al domani: anni di esercizio e di passaggi “sbagliati” sono solo l’inizio di ogni carriera musicale. Il Conservatorio aiuta a perfezionare gli studi, offrendo gradualmente l’inserimento in un possibile futuro professionale e ampliando le prospettive accademiche, permettendo di seguire corsi dal variegato contenuto musicale. Bisogna resistere di fronte alle difficoltà e apprendere il più possibile da ogni situazione.

A che anno di Conservatorio sei e chi è la tua docente?

Frequento il terzo anno del triennio. Studio con Chiara Bertoglio, insegnante davvero spettacolare. Con la sua grazia, la sua erudizione e la pazienza riesce a essere una guida perfetta.

Da quanto tempo suoni e come hai iniziato?

Sono passati undici anni dall’inizio dei miei studi musicali. Il periodo iniziale è stato costellato di molti sforzi e sacrifici, frase che può ripetere ogni musicista, compresa la necessità di uno studio costante e rigoroso, ma con il passare degli anni ogni fatica è stata premiata!

Cosa significa per te suonare?

Significa sapersi confrontare con sé stessi e con il “pubblico” (amici, spettatori più o meno numerosi, commissioni d’esame per fare qualche esempio). Significa esprimere sé stessi e le proprie emozioni attraverso il carattere da attribuire ad ogni forma musicale. Fin da piccola ho interpretato il mio strumento come un fedele amico con il quale superare momenti tristi, momenti sereni e che aiuta a liberare la mente quando necessario. Mi piace pensare che ogni prodotto artistico ci trasferisce nell’atmosfera in cui è vissuto il suo autore: se era serena e leggera ci sentiamo liberi, mentre se era opprimente ci opprime nella stessa misura.

Come descriveresti il lavoro nel mondo della musica e in che modo il Conservatorio ti ha preparato ad affrontarlo?

Mentirei se dicessi che si tratta di un mondo “facile” da gestire. La concorrenza non è poca, e certamente a livello professionale serve una grande preparazione. Il Conservatorio, secondo me, svolge il ruolo di “ponte” tra il mondo scolastico e quello professionale, impegnando gli studenti in svariati progetti e numerose produzioni artistiche.

Quale strumento suoni e come lo hai scelto?

Suono il pianoforte, che ho scelto in maniera piuttosto originale: ho iniziato gli studi musicali con l’intenzione di suonare il violino, ma il caso volle che l’insegnante di violino il primo giorno di lezione fosse assente. Si presentò invece per prima una professoressa di pianoforte: iniziai così per caso, a nove anni, la mia carriera da pianista.

Come ti vedi da qui ai prossimi dieci anni, in relazione alla musica?

È difficile rispondere, il futuro è incerto. Il pianoforte è però parte della mia esistenza, non verrà abbandonato. Ho molti dubbi in merito al futuro professionale in ambito musicale e per questo cerco di vivere ogni momento del presente nella maniera più intensa, facendo del mio meglio.

Quali obiettivi hai?

Il primo è terminare gli studi in Conservatorio e presso la facoltà di Giurisprudenza, per intraprendere, chissà, una carriera nel mondo giuridico. Vorrei però riuscire a unire i due ambienti in un connubio a lungo termine.

C’è un brano particolarmente significativo per te e perché?

Sono molti i brani che hanno caratterizzato la mia crescita personale, ma tra tanti sono sinceramente affezionata, benché non si tratti di repertorio puramente pianistico, a “Il Mattino” di Edvard Grieg. Si tratta del primo brano che ho suonato (sotto forma di trascrizione) e studiato per il mio primissimo saggio di pianoforte: oggi posso sorridere pensando al significato profondo di quel brano, l’introduzione in un mondo idilliaco. Se dovessi poi nominare un brano di repertorio pianistico, sarebbe certamente la Sonata per pianoforte n. 2 in si bemolle minore, Op. 35 di Chopin. Sebbene criticata da Schumann, fu la base di fantastici poemi della morte, storie di streghe e coboldi, fu insomma una rottura chopiniana verso la società dell’epoca. Nonostante questo distacco, il capolavoro ha una profonda unità strutturale: virtuosismo, potenza e aggressività lo rendono a parer mio uno tra i capolavori indiscussi della musica.